Per me, ora, credo che il modo migliore di introdurre a questa attentissima autoricostruzione documentaria di tutti gli aspetti di quelli che Giuseppe Rescigno, amico e compagno di tante esperienze in proiezione di operatività estetica nel sociale, definisce i suoi “Itinerari creativi”, vale a dire modi e campi d’operatività che ne fanno l’identità creativa, sia in qualche misura di spostarsi dal ruolo tradizionale del prefatore-malledore che introduce alla sostanza della questione entro la quale il lettore è invitato ad avventurarsi; di spostarsi dico, in qualche modo, proprio dalla parte del lettore stesso. Cercando cioè di ribadire e anticipare al destinatario quelle che sono impressioni e idee che appunto un lettore può infine sostanzialmente avere di fronte a una così attenta e capillare ricostruzione dell’attività creativa complessiva di un esempio di quello che un tempo (ma lo si potrebbe ancora ragionevolmente, ritengo) è stato detto un “operatore estetico”. Operante cioè in chiave di una sua comunicatività non più circoscritta a contenuti e modi di un fare unilateralmente individuale quale è stata tradizionalmente la specificità espressiva dell’“artista” (come Rescigno subito si riconosce aver consapevolmente operato e operare, adottando in apertura un mio tentativo di specifica definizione di tipologia intellettuale, di oltre trent’anni fa).
Altro mi sembra utile infatti sottolineare rispetto alla rievocazione di “statuto” e nuova attualità di un’operatività estetica socializzata e socialmente utile, a lettura ultimata di questo libro. Che di per sé costituisce un ulteriore atto di comunicazione creativa e, se si vuole, di creatività comunicativa, di un personaggio che conosco, seguo e stimo da una quarantina d’anni e la cui amicizia e attività mi riporta ai fertilissimi anno Settanta. Sulla cui maggiore particolarità sta tornando prepotentemente l’attenzione anche a fronte del qualunquismo consumistico dilagante negli ultimi decenni e tuttora, funzionale sostanzialmente a un sistema di conservazione culturale quietistica in uno scivolamento di fatto nel sinistro gioco della disponibilità al consumo somministrato, anche culturale beninteso, anzi in particolare. Un ritorno d’attenzione di cui è testimonianza, fra l’altro, anche l’importante rassegna “in nuce” dei molteplici aspetti soprattutto animatori dell’operatività estetica alternativa ai circuiti elittari tradizionali, in Italia, quale la recentissima iniziativa Fuori!. Arte e spazio urbano 1968-1976, nel Museo del Novecento, a Milano, a cura di Silvia Bignami e Alessandra Pioselli. Frammento progettuale per una grande completa rassegna futura, ma nel quale ha posto l’attività del “Gruppo Salerno 75” e di Rescigno entro questo.
Del resto quali fossero intenzioni e metodologia, largamente quanto variamente allora condivise, dell’ “operare estetico”, negli e poi dagli anni Settanta in qua, lo avevo cercato di precisare in un testo contenuto nel volume dello stesso Rescigno e di Andrea Manzi, dedicato proprio specificamente all’Arte nel sociale, pubblicato dagli editori Riuniti nel 1992. Testo che l’autore ha ritenuto utile riproporre qui, in testa alle pagine dedicate agli Apparati; alle quali subito rimando come impostazione di un’identità complessiva di campo e di metodologia (pp. 216-230). Vorrei invece qui, in breve, introduttivamente annotare alcune osservazioni sulle particolarità specifiche del suo lavoro, allora e fino a tuttora, certamente entro quel quadro di interessi e modalità operative indubbiamente allora ma anche poi, e per molti aspetti tuttora, molto innovative. Entro quello ma relativamente a una specificità personale, a una sua particolare identità appunto in quanto “operatore estetico”. E proprio perché la ricchezza e puntualità di documentazione relativa ai molteplici momenti e aspetti della sua “operatività”, dunque in un buon quarantennio di lavoro, quanto risulta quello qui attentamente attestato e ricostruito, pongono subito il lettore (come a me stesso accaduto) di fronte all’evidenza di una particolarità certamente assai personale di interessi, di metodologia, di ambiti e di adeguate modalità operative. Che costituiscono dunque complessivamente l’identità, per molti aspetti, esemplare, di un “operatore estetico” estremamente avvertito e consapevole, quale Rescigno è stato ed è, per molte ragioni direi esemplarmente.
Un’operatività che esattamente, anche nel suo caso, s’innesta su una formazione che è avvenuta nel vivo di un’attenzione alle più avanzate elaborazioni di innovazione linguistica, nel concreto della comunicatività plastico visiva; e si è configurata secondo una crescita di gamma di interessi e dunque di modi d’esercizio che certamente rispondono a una esperienza sempre più ampia, conoscitiva e insieme propositiva, sul piano della comunicatività creativa dell’esperienza specificamente analitica. In una disponibilità totale alla relatività della scelta dei mezzi, in funzione dell’intenzione del fare e dell’affermare di volta in volta molto mirata. Così da risultare il suo operare (entro un’analoga complessiva caratteristica di operatività aperta del Gruppo salernitano) tipica di un pronunciamento comunicativo-partecipativo di volta in volta liberamente reinventato nella scelta mediale, esattamente nel senso di quella raccolta di esempi di concomitante moteplicità mediale del fare plastico-visivo e comportamentale che ho definito nel libro Extra media pubblicato nel 1977 a Torino da Studio Forma.
Altro mi sembra infatti utile qui introduttivamente sottolineare, per cogliere gli interessi portanti, cioè individualmente qualificanti, di questa sua “operatività estetica”, intendo proprio nelle caratteristiche della sua singolarità personale. E da lettore, dunque a ripercorso compiuto della ricca e ordinata documentazione dei suoi “itinerari creativi”, una prima osservazione può risultare la seguente. Le esperienze attraverso le quali Rescigno si affaccia al dibattito artistico sono di una partecipazione, certamente di notevole margine personale, entro un clima di interessi linguistici segnico-oggettuali. E vanno da un’iniziale (fine anni Sessanta-esordio Settanta) congiuntura pittorica di recupero semantico segnico, al di là della suggestione di ordinamenti seriali d’ascendenza in certa misura “optical”, verso una maggiore plausibilità di suggestioni iconiche almeno analogiche, invece di ricaduta post-“pop” (nei primissimi Settanta). Per approdare a una congiuntura di transito, di riflessione “mentale”, fra – per esempio – utilizzo “concettualizzato” della scrittura, e recupero della prensilità ottico-plastica dell’oggetto.
Non tanto questo d’orizzonte di casualità “poverista” quanto in ruolo di rivelazione psicologica e antropologica, direi di remota (ma tutt’altro che inconsapevole, come dimostrano le esplicite citazioni) suggestione “metafisica” e “dada” (con momenti di dialogo ma analiticamente diversi rispetto alle rievocazioni di stupefazione manipolatoria di un Del Pezzo coevo, ormai platealmente “neometafisico” in senso soprattutto di soddisfazione confezionistica). Per ulteriormente approdare all’uso analitico, investigativo e d’archiviazione esperienziale e memoriale, dell’oggetto o del suo frammento, o della sua figura, in ordinate teche. Che diventano caratteristiche del suo lavoro, analitico-inventariale-ecologico-memoriale, a metà e oltre degli anni Settanta: una sorta di versione ecologica delle istanze (allora considerate anche in sede della grande rassegna Documenta a Kassel, nella quinta e nella sesta edizione, nel 1972 e nel 1977) di carattere “antropologico”; cioè di un sondaggio analitico memoriale paleontologico, animale (come lo sviluppava, per esempio, un Paul Thek) o umano archetipo e ancestrale (come lo conduceva, per esempio, in Italia Claudio Costa).
Non dunque la casualità memoriale e la dilatazione fantastica di scivolamento surreale delle famose “scatole” di Joseph Cornell, negli anni Quaranta-Cinquanta, ma già con molta evidenza invece un principio analitico, sia di ricognizione oggettuale che poi di ordinamento, in teche repertoriali. E il tutto, se appare subito connesso con interessi di analitica progettuale ambientale, allora caratteristici di altre proposte pittorico-oggettuali in area salernitana (che è quella ove ha operato e opera, allora come del resto tuttora, a Mercato S. Severino), manifesta subito un’intenzionalità immaginativa d’indagine chiaramente di mentalità direi istituzionalmente analitico-scientifica (diversamente – per esempio – dai rilevamenti in certa misura ludico-concettuali sviluppati da un suo compagno, di lì a brevissimo, nel “Gruppo Salerno 75”, quale Antonio Davide).
In un’assimilazione e metabolizzazione di suggestioni di decantazione “concettuale” dell’immagine, della scrittura e della presenza oggettuale, la ricerca portata avanti da Rescigno, come si precisa ulteriormente a metà degli anni Settanta, assume un carattere decisamente di rilevazione analitica di evidenze caratteristiche di oggetti che, proprio attraverso una loro messa in uso analitica, si caricano (vedi, in questo senso classico, Kirchner, del 1974) di una virtualità di riferimento provocatorio oggettuale-processuale, giocato fra sconcertante evidenza tautologica (assenti infatti modificazioni) ed enigmaticità di verosimiglianza strumentale, evocata (come altrimenti accade in Alfabeto+alfabetiere, del 1975). Una seriosità analitica, fra lettere, numeri, segni, oggetti, entro i quali si muove con pungente ironia dei sistemi possibili, sviluppando dunque una dimensione concettuale intimamente di suggestione dialogica, piuttosto che unilateralmente assertiva, come quella maggiormente in uso nel concettualismo corrente in quegli anni, non soltanto in Italia. Un modo per esercitare ulteriormente una volontà analitica propositiva come costitutiva del processo comunicativo e della sostanza appunto della sua caratteristica riflessività dialogica. E ciò persino in sfide d’evidenza analitica, in chiave tautologica (da Terra Cotta, 1975, a Storia d’Italia: caratteri, 1982). Un’ironia autoriflessiva di evidenze e processi che si risolve analiticamente in possibilità di azione-dimostrazione (come le performances: Enclosure ed Ellisse: costruzione per punti, 1975).
In una prospettiva di apertura di questa dimensione di operatività analitica oggettuale o performativa a una operatività di comunicazione estetica più esplicitamente dialogica, in senso sia ambientale che sociologico, attraverso l’attività del “Gruppo Salerno 75”, Rescigno progetta (come in Proposta per un itinerario urbano, a Gubbio, nel medesimo 1975) una possibilità di estensione analitica ambientale delle sue proposte oggettuali, esattamente nel senso di una progettata dimostrazione di possibile metodologia di commisurazione. E qui si comincia a cogliere chiaramente quella intenzionalità propositiva implicitamente di sostanza metodologica appunto analitica che risulta costitutiva della volontà dialogica di comunicazione variamente espressa, occasione per occasione, nel lavoro di Rescigno.
Per cui il territorio diviene il campo di possibilità di rilevazioni analitiche topologico-semiologiche ed ecologiche e di cultura materiale, significative non tanto in una loro possibilità di risultati particolarmente rilevanti in quanto tali ma nella loro rappresentatività del valore conoscitivo del processo attuato di rilevazione analitica di contingenze di realtà (in spazi urbani o in natura E proprio perché la ricchezza e puntualità di documentazione relativa ai molteplici momenti e aspetti della sua “operatività”, dunque in un buon quarantennio di lavoro, quanto risulta quello qui attentamente attestato e ricostruito, pongono subito il lettore (come a me stesso accaduto) di fronte all’evidenza di una particolarità certamente assai personale di interessi, di metodologia, di ambiti e di adeguate modalità operative. Che costituiscono dunque complessivamente l’identità, per molti aspetti, esemplare, di un “operatore estetico” estremamente avvertito e consapevole, quale Rescigno è stato ed è, per molte ragioni direi esemplarmente. Se un aspetto fondamentale della creatività immaginativa di Rescigno è l’intenzionalità analitica che dunque costruisce l’immagine-azione partecipabile e ne configura quindi anche una gestione dialogica mirata, quell’intenzionalità non va disgiunta da una determinante disposizione a rendere attiva la provocazione immaginativa dialogica costituita dal processo analitico messo in atto.
Esattamente a renderla attiva proprio in modi di una finalizzata apertura appunto dialogica, che lo è dunque implicitamente anche in termini di capacità formativa. Il rapporto profondo con la scuola (nella quale è professionalmente impegnato in quanto docente di materie matematico-scientifiche) entra dunque come un aspetto caratterizzante dell’“operatività estetica” di proiezione e realizzazione sociale messa in atto da Rescigno. E contribuisce a realizzarla, estendendone ragionevolmente l’ambito entro quello delle virtualità formative di una comunicazione sociale appunto intimamente d’intenzione dialogica (che è un modo di operare esteticamente ben al di là della mera, tradizionale, costruzione comunicativa di opere). E il repertorio di esiti della sua “operatività” analitica, quanto la stessa riflessione su questa, che sempre accompagna il suo fare, ha avuto significative ricadute in una prospettiva di sperimentazione didattica, così da attirare l’attenzione in ambito pedagogico qualificato (sue collaborazioni in particolare con Clotilde Pontecorvo, a Salerno e a Roma).
E proprio nel dialogo formativo, entro la scuola (ma istituzionalmente e non marginalmente, né come mera superfetazione burocratica), la sua “operatività estetica” ha potuto e può realizzarsi in una prospettiva di aperta fenomenologia di occasioni per provocare a una metodologia analitica messa in opera relativamente a una dimensione territoriale specifica. Per esempio, individuando luoghi e occasioni tipici di patrimonio ecologico da analizzare (il bosco, il fiume e l’acqua, itinerari archeologici, la produzione artigiana); oppure suggerendo pratiche di rilevamento visivo analitico, per esempio, attraverso la fotografia; o pratiche di sollecitazione partecipativa attraverso il teatro. Riuscendo a circuitare nelle diverse occasioni della sua “operatività estetica”, sviluppata appunto tutta in dimensione del sociale, sperimentazione didattica e praticabilità sociale.
Questo è quanto qui analiticamente assai bene documentato, e che della personalità creativa di Rescigno offre una evidenza a tutto tondo, quanto a integrità e intelligenza operativa e quanto ad ampiezza di interessi di metodologia analitica come possibilità di conoscenza, e di partecipazione, come ascolto e come occasione ulteriore di conoscenza